Lo studio e gli approfondimenti, non finiscono mai

L'INDICIBILE. La morte raccontata ai bambini. A partire dalla conferenza, dalla Shoah, ad aggiungere riflessioni.

 

La morte raccontata ai bambini. Si può? Si deve? A quali bambini? I miei, i tuoi?

 

Inizio questa riflessione con i miei appunti di viaggio. Li contaminerò e andrò oltre. Ma partiamo dal principio.

 

 

31 Marzo 2015 fiera del libro di Bologna: la conferenza.

Authors Café - 1:30 pm

DAFDAF, the newspaper Jewish children and Jewish Pages are: Telling the unspeakable

Coordinate a newspaper for children means face every month with the need to choose what to tell, and the responsibility to define the parameters by which to address arguments sometimes impossible to tell. To address in a newspaper or in a book what is sometimes unspeakable, then, the only choice is to accept the comparison not only with who theorizes the issue but especially with those who are found to transform theory into concrete actions in favour of children and young people, and therefore not only to readers of DAFDAF, the Jewish newspaper of the children, but to all young readers.

 Anna Castagnoli, expert of illustrated books, author, illustrator

 Paul Cesari, translator

 Nadia Terranova Newfoundland writer

 Luisa Valenti, illustrator

Introduced and moderated by Ada Treves, journalist and coordinator of DAFDAF”

 

Ho così introdotto i relatori di questa interessante conferenza. Purtroppo non sono in grado di mostrarvi le immagini che Anna Castagnoli ha utilizzato per spiegare le sue considerazioni, molto utili, ma cercherò di sopperire meglio che posso. Vi rimando all’aiuto che ci fornisce il web.

 

Ada Traves apre l’incontro, spiega come questa collaborazione sia nata dopo l’attentato a Parigi della testata satirica, Charlie Hebdo. Per ragioni di cautela si è arenata ma la giornalista ha voluto comunque portare avanti questo discorso, la morte raccontata ai bambini, nel giornale DAF DAF.

Il giornalino ebraico è rivolto a tutti i bambini, sono molti i bambini ebrei che non frequentano scuole ebraiche, e il numero di DAF DAF sulla “Giornata della Memoria”, la cui copertina è realizzata da Luisa Valenti, punta a trattare, con un approccio scientifico e positivo, la storia dei “Giusti”. Per il FUTURO degli ebrei VIVI. Uso il maiuscolo volutamente per marcare il concetto a cui tiene molto la giornalista. Per attualizzarlo. «Raccontare la memoria della Shoah ai bambini è come raccontare l’attentato al giornale. È un’occasione per riflettere sull’oggi e il bisogno di affrontare certi argomenti con i bambini», dice.

 

Nadia Terranova, che cura una rubrica della rivista, afferma che «bisogna parlare in modo non troppo edulcorato, senza troppi “gne gne”», ironizza, «poi ci vuole la libertà assoluta, nel senso che non si deve essere legati a ciò che è stato appena pubblicato. Non bisogna lasciarsi condizionare da nulla».

BRUNO Il bambino che imparò a volare, di Nadia Terranova con le illustrazioni di Ofra Amit, (Orecchio Acerbo Editore, 40 pagine a colori, 16 euro), e Opera Vincitrice 2012 – LIBRI PER BAMBINI E PER RAGAZZI, racconta la scomoda morte di un bambino.

 

È la storia di Bruno Shultz e nella motivazione del riconoscimento si afferma anche che possiede un “senso non soltanto letterario della memoria, scevro di qualunque retorica e buonismo”.  http://www.premionapoli.it/bruno-il-bambino-che-imparo-a-volare/

Il padre sparito prima salva il figlio che sparirà poi, e infine si ricongiungono. I bambini hanno una capacità di elaborazione spontanea per cui è opportuno utilizzare parole precise, l’ellissi e la metafora lasciano che sia il bambino ad attraversare con inconsapevolezza i temi difficili come la morte.

 

 «L’estetica del filo spinato», dice, «fa entrare di diritto molta letteratura nella giornata della memoria, esistono quindi molte pubblicazioni in merito».

 

Digressione personale a tema: mi piacciono molto Il volo di Sara, di Lorenza Farina, Illustrazioni di Sonia M.L. Possentini , Fatatrac edizioni, 2012 e L'albero della memoria. La Shoah raccontata ai bambini, di Anna Sarfatti e Michele Sarfatti, Illustrazioni di Giulia Orecchia, Mondadori  (collana I sassolini a colori. Oro), 2013, che quindi cito come bellissimi esempi di letteratura per ragazzi sulla giornata della Memoria. Di quest’ultimo ho scritto anche la recensione per Bookavenue, http://www.bookavenue.it/piccoli-lettori-crescono/item/1313-lalbero-della-memoria.html

 

Nadia Terranova continua e cita altri libri che parlano di morte ai bambini, ognuno con interessanti risvolti da considerare, realizzati con accuratezza, efficaci quindi da leggere, come I pani d’Oro della vecchina di Annamaria Gozzi (su cui aggiungo due parole), Skellig di David Almond, Oh boy di Marie-Aude Murail. Gli ultimi due libri sono di narrativa.

Tutti davvero belli. Cercherò di sopperire alle immagini mancanti fornendo più dettagli in merito agli albi illustrati.

 

I pani d’oro della vecchina,di Annamaria Gozzi, illustrazioni di Violeta Lopiz, (Topipittori,  p.32, 14 euro) affronta la morte in modo curioso, intanto domina il bianco e l’Ombra Scura sorprende perché si indispettisce ed è golosa come i bambini, il passaggio avviene, ma non traumatizza. Le illustrazioni aiutano molto a mantenere questo senso di candido torpore, quieto.

 

Durante la conferenza interviene Anna Castagnoli che riesce sempre a rapirmi, il suo sito è un pozzo di creatività e spunti interessantissimi, quindi vi invito a visitarlo. http://www.lefiguredeilibri.com/tag/anna-castagnoli/

 

Comincia a parlare richiamando alla memoria ricordi e chiedendosi cosa provasse quando era bambina, poi di come sia nata l’idea dell’infanzia nella società borghese, di come prima i bambini crescessero naturalmente immersi nella vita reale, fatta anche di vecchiaia e morte.

Cita “la gabbia Ottocentesca” con i tabù. Ora c’è l’idea della creatura libera e selvaggia (cita Sendak e il suo Nel Paese dei Mostri Selvaggi) che è ugualmente uno stereotipo. «I bambini al plurale comunque non esistono», dice, «perché sono diversi, basti pensare al singolo circuito familiare e culturale».

Un altro aspetto da valutare è che «non c’è sempre una risposta per tradurre la realtà», dice Anna Castagnoli e cita Simone Rea. L’illustratore per rappresentare la morte in Anansi e la Morte, www.simonerea.blogspot.com , non aggiunge alcun dettaglio sentimentale e lascia una incompletezza, perché sostiene che la morte fa parte della natura, e l’immagine delle emozioni non c’è, volutamente.

Si ricorre all’ellissi per non mostrare direttamente. «Se non diciamo/mostriamo, assegniamo un posto al lettore nella narrazione. È un’assenza che parla», rileva Anna Castagnoli. «In Greta la Matta, di Geert De Kockere, Carll Cneut, Adelphi, 2005, la storia di una bambina che è rifiutata dagli altri e si uccide, il messaggio non ha altro da dire sennonché l’esclusione è una condanna per l’escluso». La bambina crescendo incontra mostri (perde la ragione) e persino il diavolo in persona. Il gioco della palla blu, enorme, che rotola. «Un attimo, un sogno», dice l’illustrtrice. Il giullare, la figura del folle che rivela la verità scomoda, cela Greta con la palla. Un attimo, subito dopo svela la verità: Greta non c’è più perché è morta. «La morte è sparizione. Quello che non c’è, è infinitamente potente» conclude.

 

La storia di Greta è rivolta ai bambini? Mi chiedo, ma lo faccio in coro, insieme a tante altre persone che potrebbero porsi questa domanda. È forte. Indubbiamente se ne potrebbe parlare per ore seduti intorno a una tavola rotonda. Non c’è nulla oggi, nel mondo, di più comune dell’indifferenza e l’esclusione. E mi piacerebbe farlo davvero. Ritengo che un albo come questo non sconvolga un bambino. L’assenza creerebbe domande e pensieri cui l’adulto potrebbe partecipare. La morte esiste quanto la vita. La drammaticità della storia di Greta è reale, se ne può parlare, non dico si debba farlo, ma si può. Certezze e incertezze che si spintonano, lo so.

 

Anna Castagnoli mostra altre immagini, a cui vi rimando nel web, facilmente visionabili. Cita L’anatra, la morte e il tulipano, di Erlbruch Wolf, E/O, nella collana Il Baleno, 2007. «Qui c’è tutto quello che si crea e quello che si perde», dice. In questa storia l’anatra fa la scoperta della morte e si spaventa. Non otterrà risposte su quello che ci sarà dopo perché la morte risponderà sempre che tutto è “possibile”. Diventano quasi amiche e quando l’anatra morirà, perché è il ciclo naturale della vita, la morte si rattristerà e le affiderà il suo nero tulipano. Il fiume è metafora del passaggio ma non svela nulla di più.

 

Questo albo è chiaro nella sua “incompletezza”. Non fornisce risposte e tantomeno certezze sul dopo, ma rende lineare il ciclo della natura, la morte spaventa in principio e poi non fa più paura.

 

Anna Castagnoli ricorda come «la morte sia spesso un personaggio attivo nei libri», nell’albo La Visite de Petite Mort, di Kitty Crowther, Ed Lutin Poche, 2005, viene addirittura aiutata dalla bambina. L’Ours et le Chat Sauvage, Komako Sakai, L’école des loisirs, 2008, racconta invece la storia dell’orso triste perché scopre che il piccolo uccello è morto. L’orso ricorda che solo il giorno precedente avevano parlato insieme del tempo che passa. L’uccellino aveva dato più importanza all’oggi che al passato o al futuro, e ora non c’era più. L’orso che non si rassegna al sentimento del lutto si ritrova sempre più solo fino a giungere nelle pagine nere, la depressione, finché non incontra il gatto selvatico, che comprende il dolore, e suona con il suo violino. Ellissi di nuovo, «perché non ci sono parole» asserisce Anna Castagnoli.

 

Insieme, orso e gatto, percorrono un prato fiorito, altrettanto grande come era stata la tristezza (illustrati in doppia pagina), è l’elaborazione di quella perdita e il concetto di ricordo. Anna castagnoli precisa che «non troviamo alcuna edulcorazione in questa storia».

 

C’è molta naturalezza.

 

Anna Castagnoli ricorda che anche Nel Paese dei Mostri Selvaggi di Maurice Sendak vi è la morte. L’autore, ebreo, ricorda tra le pagine la perdita della sua famiglia nei campi di sterminio. «Nella copertina c’è una importante assenza, manca il protagonista». Assenza, ellissi. «Nell’isola dei mostri inoltre c’è una tomba, l’autore si ispirò alla pittura del 1400 e a Dante Alighieri per illustrarla».

 

Al termine di questa interessante conferenza è intervenuto Paolo Cesari, che ha tradotto L’Ultimo Viaggio e L'albero di Anne, entrambi gli albi sono di Irène Cohen-Janca, illustrazioni di Maurizio A. C. Quarello, Orecchio Acerbo edizioni, che sostiene come si possa continuare a raccontare la Shoah ai bambini dopo la scomparsa dei sopravvissuti, problematica posta anche da Lia Levi, con la poesia. Secondo Cesari «l’indicibile è affrontabile con la poesia» e cita Il Grande Cavallo Blu, degli stessi autori e editori, che racconta in modo poetico la chiusura dei manicomi, la storia di Franco Basaglia. Una storia forte. «Un bambino vive, poiché ci abita, la realtà del manicomio di Trieste, l’ospedale che cura il male dell’anima» dice. «Solo la forma, e quindi la poesia è fondamentale, è importante da considerare quando si racconta ai bambini e grazie a questo ogni tema è trattabile».

 

Anna Castagnoli termina citando La grande domanda di Wolf Erlbruch, E/O, nella collana Il Baleno, 2004. «Sono i bambini a creare la loro grande domanda» dice.

 

Appunto, anche sulla morte, aggiungo, e arriva in tenera età perché i bambini si accorgono presto del vuoto lasciato da una assenza (che sia un animale domestico, un nonno, un parente, un vicino o un amico).

 

L’indicibile non è facilmente traducibile. Che siano quindi le immagini o la musica o la poesia a dargli forma. Credo che l’indicibile non debba essere nascosto, censurato, occultato perché se indicibile è la morte, questa esiste davvero ed è naturale, per quanto triste, brutta e nera. Ognuno la colori come vuole, ma c’è.

 

 

I bambini oggi ne hanno una percezione mediatica, a volte distorta, distante. La si scopre nella sua “incompletezza”, se presa da sola, ma si rivela come tassello a completare la vita. Parlarne non fornirà risposte ma sicuramente aiuterà nelle riflessioni importanti.

 

Questi appunti, mi rendo conto, sono inzuppati di mie riflessioni, un po’ per raccontare i libri citati ma anche perché è un argomento davvero importante, e mi piacerebbe confrontarmi con voi amici perché ritengo che l’indicibile non sia affatto trasparente. Grazie di aver letto fin qui.

 

 

Mostra di libri IBBY dedicata alle disabilità: Outstanding Books for Young People with Disabilities.


Lunedì 13 Maggio sono andata locali del Centro Documentazione Handicap “Accaparlante” di Blogna, insieme ad alcune amiche interessate quanto me, a consultare alcuni libri per bambini che affrontano le disabilità.


È una mostra itinerante, che sta facendo il giro del mondo: Outstanding Books for Young People with Disabilities, questo il titolo della mostra, è la selezione bibliografica internazionale d'eccellenza dedicata ai libri per ragazzi con disabilità curata dal Centro di Documentazione IBBY sulla Disabilità.


Giusto divulgare cose belle quindi riporto, per chi non lo conoscesse, qualche dato in più preso dal sito: http://www.bibliotecasalaborsa.it/ibby/documenti/23594


Che cosa è IBBY?


«IBBY - International Board on Books for Young People è un'organizzazione no-profit fondata in Svizzera nel 1953. È una rete internazionale di persone, che provengono da oltre 70 paesi, impegnate nel facilitare l'incontro tra libri, bambini e ragazzi.

I libri possono aiutare un bambino che cresce in un contesto difficile ad avere una migliore qualità della vita.

IBBY promuove a livello internazionale il diritto dei più giovani ai buoni libri e alla lettura, creando ovunque per l'infanzia l'opportunità di accedere a libri di alto livello letterario e artistico e incoraggiando la pubblicazione e la distribuzione di libri di qualità per bambini specialmente nei Paesi in via di sviluppo.

Ogni sezione nazionale di IBBY ha come obiettivo quello di promuovere la letteratura per l'infanzia del proprio Paese.».


Ogni due anni, sulla base delle candidature presentate dalle sezioni nazionali, il Centro Documentazione IBBY seleziona la migliore produzione editoriale dedicata a bambini e ragazzi disabili nelle seguenti categorie:

-          libri espressamente creati per bambini con disabilità (ad esempio in Braille, con simboli BLISS, ecc.);

-          libri della produzione regolare, che si distinguono per essere letti anche da bambini con disabilità;

-          libri che hanno per protagonisti o parlano di bambini e ragazzi con disabilità.


Nello stesso link è consultabile la bibliografia della mostra.


Dopo un primo momento di disorientamento poiché mancavano le responsabili della biblioteca in cui sono disposti i libri, provenienti da tutto il mondo, ci siamo sedute con il colorato bottino davanti a noi. Libri belli, non c’è dubbio!


La pila è composta da poca narrativa e molti albi, considerando che sono in lingua originale questo ci agevola. Ogni libro contiene comunque una breve sinossi o piccola presentazione in inglese, per permettere di usufruire del senso del testo scritto in cinese o arabo o altre lingue che non tutti conoscono. Ognuno di noi ha sfogliato le pagine tattili o semplicemente “nuove”, per l’unione di segni differenti, con scintille di piacevole stupore.


Indubbiamente mi ha catturato la meraviglia dell’armonia tra segno grafico e linguaggio dei segni, o in braille degli albi tattili, in cui si gioca con i puntini e si impara a leggere. Mi hanno sicuramente mosso qualcosa dentro, che ho sempre avuto, ma è venuto a galla. A parlare di quei libri, confrontandosi con le amiche presenti e con la vita vera, che ha mille segni privati, mi ha fatto venire una gran voglia di “fare”. Una specie di urgenza.

I libri sono interessanti, alcuni meno fruibili, ma in linea di massima tutti davvero belli. Alcune storie sono divertenti altre poetiche, si ride, si riflette e si diventa anche pensierosi e non c’è nulla di male, è concentrazione e tuffo nell’animo.


Lola e io, Chiara Valentina Segré, Paolo Domeniconi, Camelozampa, 2012, lo conoscevo già. Racconta la storia di una ragazzina ipovedente e cambia la prospettiva della narrazione. Ecco, questo accade anche in altri albi e crea empatie inaspettate, sempre piacevoli e interessanti. Noi, di Elisa Mazzoli, ill. Sonia Maria Luce Possentini, Bacchilega Editore, 2014, anche questo albo lo conosco ed è un gioiello, Angela che ha seguito la sua nascita ci ha raccontato i dietro le quinte della storia che è basata su fatti reali, e non si fatica a crederlo. Molto bello. Ma questi sono già dei bellissimi esempi di libri che girano a scuola, almeno dovrebbero in tutte le scuole. Storie con la CAA 3 - Tre in-book per bambini di 3-6 anni, Elena Magni, Mariacristina Ungari, Claudia Denti, Chiara Anna Conti, Laura Costanzi, Roberto Introzzi, Edizioni Centro Studi Erickson, 2014, già rientra nella categoria dei libri più particolari, per non parlare di quelli con i linguaggi speciali di una specifica disabilità. Qui la bibliografia anche straniera:

http://www.torontopubliclibrary.ca/search.jsp?Erp=20&N=37910&Ns=p_pub_date_sort&Nso=1&Ntk=Keyword_Anywhere&Ntt=ibby&advancedSearch=true&view=grid


Credo di averli sfogliati quasi tutti, se dicessi letti mentirei perché alcuni erano inaccessibili a causa della lingua a me ignota, più accessibili invece altri ricchi di segni nuovi, di alcuni ho fatto delle foto per poterne trattenere il ricordo unito all’emozione che mi hanno suscitato.


Ognuna di noi ha notato aspetti che si legano alla disabilità o mancano nella letteratura dell’infanzia. Per esempio, la presenza di bambini down negli albi…rari o nulli. Quelli consultati nella mostra in cui erano protagonisti (mai comparse), avevano un indirizzo infatti mirato ai genitori di bambini con la stessa sindrome o a insegnanti di sostegno, ma non a tutti. Quanti di quei libri saranno proposti a una classe di bimbi normodotati? A me preme questo aspetto. Qualche progetto esiste, in alcune scuole, ma è poco. La sensibilizzazione a mio parere dovrebbe iniziare subito, già nella scuola dell’infanzia, perché offrendo i bellissimi albi della biblioteca scolastica, compresi quelli con la diversa lettura di segni e linguaggi, sarà normale essere disabile e non per questo diverso dagli altri compagni. Come diceva Carla, meravigliosa promotrice di libri e attenzioni belle, “guardiamo a quello che sanno fare questi bambini e non a quello che non riescono”. Che poi, ogni classe di bambini è ricca di diversità: uno impara a tenere le forbici in mano mentre il compagno proprio fatica, stessa cosa per disegnare, colorare, saltare e tutte le competenze che arrivano con tempi diversi per tutti.


Quando accade un piccolo incidente che coinvolge un compagno disabile, ho sempre sentito dire ai miei figli: “vabbè, ha avuto un problema”, perché ognuno ne ha quotidianamente e pazienza se a qualche bambino accade più spesso. Soprattutto apprezzo che al racconto del “problema” segua un complimento per le altre doti. Riconoscere i pregi, oltre ai limiti, è fondamentale e fortunatamente in loro è passato. Anche perché fa parte della normalità, appunto.


A me piace scrivere, si sa, e nutro pure ambizioni, lo dico sorridendo ma non mi nascondo. La mia voglia di fare intanto è partita con delle parole scritte e la ricchezza del quotidiano è sempre più consapevole.

 

La mostra è consultabile fino al 29 maggio nei locali del Centro Documentazione Handicap in via Pirandello 24.  http://www.accaparlante.it/node/30393

 


Identità di genere, stereotipi e media:


qualcosa sta cambiando?


31 Marzo 2015, Fiera del libro di Bologna. Introduce Luisella Arzani, esperta di Pedagogia di genere e curatrice della collana Sottosopra EDT-Giralangolo.


Partiamo subito da un presupposto: abbiamo un reale bisogno di modelli non stereotipati, di storie libere che lascino pensare ai bambini che hanno la possibilità di fare scelte multiple e uguali. I mass media, mezzi di comunicazione di massa appunto, sono un’agenzia di socializzazione, oltre alla famiglia e alla scuola e hanno un grande peso su come è rappresentato il genere, sul rapporto del processo identitario di bambini e bambine, su quanto incide davvero nella loro identità.


L’influenza della percezione del mondo circostante avviene fin troppo per mezzo dei media, quindi riguarda anche l’identificazione tra i generi. Gli stereotipi sessisti hanno un potere restrittivo nell’identificazione di genere, sono potenti, ma l’immagine alternativa, gli anti-stereotipi lo sono ancora di più. Ecco perché è nata la polemica, che in alcuni casi è degenerata. Ha creato scalpore una storia in cui il nonno lavora in casa mentre la nonna è nei campi con il trattore. Cerchiamo di affrontare il rapporto potenziale tra media e cambiamento sociale.


Il primo intervento è quello di Alex Corlazzoli,

giornalista ma anche maestro in una scuola primaria nella campagna di Cremona, dove la dicotomia campagna e città è ancora evidente. Soprattutto per quello che riguarda le “cose da maschi e quelle da femmine”. I due settori sono ben distinti. Ma se Giulia gioca a calcio, invadendo un campo solitamente attribuito ai maschi, viene considerata una bambina in gamba, coraggiosa, brava. È accettata dalla comunità senza troppi problemi. Non accade la stessa cosa se a voler fare danza è Mattia. Quindi, il problema di genere non penalizza solo la sfera femminile.

La dicotomia di genere spicca soprattutto nel rapporto con il proprio corpo: i maschi si sporcano, è loro concesso un atteggiamento spavaldo, anche rude. Le bambine invece sono legatissime all’apparire, utilizzando tutti gli accessori possibili. Sicuramente in loro c’è l’emulazione dei genitori. E quello che guardano in televisione. Se osserviamo i loro disegni, noteremo le bambine rappresentate sempre con i capelli lunghi, cosa mai verificatasi per un maschio. Per quanto riguarda le letture: i maschi leggono i fumetti mentre le femmine hanno le riviste femminili di moda, che portano anche a scuola e nascondono sotto il banco. Il fatto che le bambine della scuola primaria leggano con interesse le riviste di moda però, rivela il processo di adultizzazione precoce in atto. Molti sono gli stimoli che ricevono e che le conducono verso quella direzione.

Se si chiede cosa vorrebbero fare da grandi: le femmine scelgono professioni quali maestra, infermiera, dottoressa mentre i maschi scelgono tra il contadino, il camionista, il veterinario. Nessuno ha mai detto il maestro. Quello che li accomuna è il concetto di famiglia: le mamme di entrambi i sessi stanno in casa, a cucinare, mentre i papà lavorano. Solo le mamme vanno ai colloqui. In questa realtà quindi, il cambiamento è molto lontano.


Il secondo intervento è di Lorella Zanardo

(Il Corpo delle Donne, documentario e libro, ediz. Feltrinelli, attivissima nelle scuole con il progetto “Media Education”).


Introduce il Global gender gap. L’indice di tipo anche economico, che misura il divario tra i generi in tutto il mondo. L’Italia è al 69° posto, il Nord Europa tra i primi. Non è un gran risultato e noi donne non avremo autorevolezza se non si fanno leggere questi libri contro gli stereotipi ai bambini. Altrimenti sarà molto difficile che il cambiamento possa avvenire.


 Un saluto cinese si traduce con “benvenuti in tempi interessanti”, questo potrebbe essere un momento interessante. Eppure su RAI 3, rete nazionale, nel programma condotto da Fazio, la signora Littizzetto fa a pezzi il declinare il mondo anche al femminile e queste dichiarazioni vanno contro lo sviluppo delle donne. Ci vorrebbe una protesta formale e civile contro questo fatto. Qualcosa che non ha nome NON esiste. Capite che ha un peso enorme. Un giorno, a passeggio con la figlia, la bambina notò la toponomastica stradale: le vie hanno tutte nomi di uomini. Come mai mamma? Appunto, l’autorevolezza delle donne necessita la declinazione al femminile.

Il progetto che portiamo nelle scuole, “Media Education”, cerca di insegnare ai ragazzi una visione più aperta e consapevole, di questa disparità, dell’uso delle immagini in generale (dai programmi alle pubblicità) e insegna un uso critico della televisione. Diciamo anche che questo lavoro spetterebbe al ministero, ma che non fa.


[Vengono mostrati dei video televisivi, per me illuminanti].

Si evince subito la differenza nell’inquadratura che il cameraman fa tra ospiti femminili e maschili. La donna è inquadrata dai piedi, risale le gambe e si ferma solo alla fine sulla testa. Le domande rivolte alla concorrente donna, nei programmi televisivi più comuni, è di tipo “chiuso”, le risposte possono essere Sì o No, non viene concessa realmente la parola. Le inquadrature dei maschi invece partono subito da un mezzo busto e infine c’è il primo piano, le domande sono aperte, sono liberi di comunicare (studi, hobbies, lavoro, interessi etc.).  Questa è una oggettivizzazione che ha conseguenze gravissime.


Dobbiamo richiedere il diritto di avere una televisione non nemica della famiglia, combattendo l’oggettivizzazione. L’identificazione con quel modello delle inquadrature, dai piedi ai seni, per quarant’anni, ha sgretolato la nostra autorevolezza. Per tutti questi anni alle donne si sono poste domande chiuse, vai in bici? Sì/No, non è stata concessa la possibilità di esprimersi. È mortificante!

L’attrice Cate Blanchett durante un’intervista si è ribellata al cameramen che stava facendo la classica inquadratura. Si è accovacciata e ha detto «Cosa riprendi quaggiù che non c’è nulla di interessante?» poi lo ha esortato «potresti riprendermi il viso per piacere, faresti così se fossi un uomo?».

 

Qualcosa quindi sta cambiando, in meglio, grazie all’attivismo.

Cosa possiamo fare tutti e cosa ci proponiamo di fare con i ragazzi? Non giudichiamo ma diamo gli strumenti necessari e insegniamo a protestare nel modo giusto.

Ogni volta che non ci piace qualcosa, bisogna scrivere in modo educato e formale all’azienda e allo IAP - Istituto Autodisciplina Pubblicitaria per far ritirare la pubblicità [ci ha mostrato cartelloni volgari e offensivi all’inverosimile, che sono stati ritirati].

Siamo al 75° posto per la libertà di stampa. I ragazzi e le ragazze italiani stanno migliorando il mondo, hanno attivamente fatto togliere gran parte di quello che offende la dignità. È bene che si sappia!


Terzo intervento con Stefano Ciccone,

dell’Associazione e rete nazionale Maschile Plurale e autore di Essere Maschi. Tra potere e libertà.


Pioniere degli studi sul maschile in Italia. Il maschile non è universale ma parziale, poiché è solo una parte.

Quanto è ambiguo il cambiamento? Ci sono grandi contrapposizioni, come le sentinelle in piedi nella loro protesta che si scontrano con la realtà di cattolici e cristiani che dialogano invece sulla differenza come dimostrano vari esempi sulla teologia femminile. [mostra delle copertine di vari saggi].


Nella vita quotidiana abbiamo esempi evidenti di un linguaggio che imbriglia i generi e che nemmeno notiamo più. Un esempio sono i cartelli dei bagni pubblici. I fasciatoi sono solo nei bagni femminili, nella metro l’insegna con il passeggino è solamente con la figura femminile della mamma. Bisogna rendere consapevole il linguaggio perché condiziona il modello.

Altro esempio, le buone maniere e le cattive maniere, nelle seconde risiedono le cose sconvenienti tra cui le parolacce: le più comuni sono zoccola/frocio. Queste offese sono le regole invisibili che vigono nella società, definiscono ciò che è considerato “buona maniera”.

Ci sono elenchi lunghissimi di dicotomie maschile/ femminile: soggetto/oggetto, razionale/emotivo, cultura/natura, forte/debole eccetera.


La virilità si emancipa fuori dal corpo: si portano i soldi a casa, si incita allo stadio, e così via. Perché servono conferme, tutta questa costruzione è precaria. Il nostro corpo è plasmato dai modelli sociali. Gli uomini proteggono le donne ma le controllano pure. L’uomo è violento ma anche il salvatore, pensate allo spot di Giuseppe Fiorello contro la violenza sulle donne: le conduce in una stanza e toglie loro il bavaglio, le libera e le salva, è un uomo a farlo. Stesso discorso per la ragazzina indiana che rischia la molestia sessuale ed è salvata da più uomini che simboleggiano diverse religioni. Per salvarla alla fine si dispongono a cerchio, la ingabbiano, e lei sorride soddisfatta. Si sente finalmente al sicuro protetta da uomini.


Pensiamoci, teniamo vivo il nostro senso critico e la nostra consapevolezza.


Ultimo intervento è quello di Donatella Lombello,

Professoressa di Storia della Letteratura per l’infanzia nella Facoltà di Scienze della Formazione all’Università di Padova.


Le proposte impositive: era quando il lettore “doveva” aderire a quello che gli autori proponevano nei libri.

Per affrontare il tema dell’evoluzione nella letteratura dell’infanzia, Bianca Pitzorno definisce un tempo di svolta: prima e dopo Pippi Calzelunghe.

Prima di Pippi ricordiamo anche Alice di Lewis Carroll e poi Bibi di Karin Michaëlis. Erano già personaggi in controtendenza.


Bibi, la bambina del Nord, siamo negli anni ’30, vive con il padre capostazione e una madre nobildonna, e già qui abbiamo una famiglia atipica. Rappresenta la prima frattura con i canoni sociali. La bambina è libera di esplorare da sola i vari paesaggi. Si staglia come un modello di innovazione.


Pippi è del ’45, ha uno spazio di azione e di pensiero, il corpo è sbrigliato, come ha vissuto l’autrice stessa, Astrid Lindgren, con parità di compiti quando c’era da portare avanti dei lavori. I personaggi maschili si mettono in relazione e sono simmetrici. Il papà di Bibi la lascia libera di partire con il treno purché gli scriva, anche quello di Pippi non è mancante, è presente poiché scrive.


Un altro personaggio della stessa autrice, Ronja, è una bambina molto libera e fuori da ogni canone, figlia di Matteo, capo dei briganti. Vive tra i briganti, nel bosco. È un personaggio dirompente!


Nel 1960 Gianna Anguissola, autrice prolifica, si rivolgeva alle adolescenti invitandole a crescere e formarsi con il Diario di Giulietta, un modello alto borghese. Faceva aspirare a quel modello attraverso le descrizioni: gli abiti indossati, gli arredamenti della casa, le abitudini di quella famiglia. Il padre di Giulietta è un imprenditore che si occupa anche dell’educazione della figlia. L’autrice propone scelte più fedeli alla personalità della ragazzina che legge quei romanzi: fare il proprio dovere poi anche quello che ci piace fare.

Le bambine di Bianca Pitzorno invece, (Ascolta il mio cuore, eccetera), si ribellano alle angherie.


Oggi non ci sono modelli così stigmatizzati, in modo impositivo, ma c’è la proposta cui puoi aderire se vuoi. Con una presa di consapevolezza.


Questi sono i miei appunti, scritti velocemente per non lasciar sfuggire quello che più mi colpiva, quindi mi scuso per le eventuali scivolate.


Termino così questa lunga annotazione di pensieri. Qualcosa, con fatica, sta cambiando!


Aidan Chambers e il colpo di accetta letterario.

Il primo aprile 2015 ho rubato delle parole ascoltando Aidan Chambers e ve le passo.


Primo aprile 2015. Mi trovo alla Fiera del libro di Bologna e penso al mio primo acquisto fatto in questo luogo, la prima volta che venni anni fa: Aidan Chambers, Siamo quello che leggiamo, crescere tra lettura e letteratura, Equilibri, 2011.


Il mio interesse verso la letteratura e la lettura è cominciato molti anni fa. Nel tempo è maturato, si è affinato e con autori quali Aidan Chambers trova pienezza. C’è bisogno di libri belli. C’è bisogno di saper riconoscere la bellezza anche quando pare che non ci sia. Amo leggere ai bambini ma è un atto di responsabilità non da poco.


Nei saggi di Aidan Chambers ho trovato una cassetta degli attrezzi cui attingo a piene mani e che mi permette di avere una linea guida cui faccio grande affidamento. La sua cura e l’attenzione al lettore rendono qualsiasi lettura, o proposta di lettura, realmente “consapevoli”. Tutto ha importanza, a partire dal luogo in cui si legge.

Ammiro l’accuratezza che dedica a ogni aspetto.


Leggere è un’attività che richiede comportamenti appropriati. In primo luogo, dobbiamo porci nella giusta predisposizione mentale per concentrarci su un libro, essere in grado di prestargli la dovuta attenzione e lasciarci trasportare dalla storia. (Il lettore infinito, Educare alla lettura tra ragioni ed emozioni, Equilibri, 2015, pag. 51).


Aidan Chambers parte da aspetti concreti, a volte autobiografici, prima ancora di affrontare quelli più profondi, critici e teorici.


I libri non ci minacciano, non ci tradiscono, né svelano le nostre difficoltà, ma ci consentono di contemplare anche l’evento più problematico attraverso il filtro protetto di una storia. (Siamo quello che leggiamo, pag. 90-91). Ma attenzione che il colpo di accetta non sia troppo forte!


Il primo Aprile di quest’anno dunque, ho potuto ascoltarlo mentre ci regalava la sua esperienza di critico letterario, sempre condita di ironia ed esempi concreti. Mi sono lasciata rapire dalle sue digressioni.

Ci sono parole che ho trascritto su un quaderno, scomodamente aggrappata alla porta, e queste voglio appuntare bene nella memoria, per me e per chi sarà interessato a leggere. Non è un trattato ma una esposizione colloquiale, spontanea sebbene sicuramente preparata. Eccole. Intitolo questo intervento

Il colpo di accetta.

Leggere a volte può essere deludente perché può farci stare male. Il compito di una buona letteratura è di riuscire a scalfire la superficie, con un colpo di accetta assestato bene, con la giusta forza, deve poter entrare nella profondità delle cose.  Il rischio che sia spiacevole è reale. Ecco perché il colpo non deve nemmeno essere troppo forte.

Quante informazioni arrivano dai vari media? La letteratura si basa sempre sui fatti, che differenza c’è fra trame e drammi? I libri non minacciano, nutrono il nostro cervello e questo ci aiuterà.


La letteratura è fatta di parole e di suoni, come la musica. Ha un ritmo (rime, allitterazioni) che crea un “senso intellettuale” e per arrivare all’anima deve attraversare l’intelletto. L’essenza del nostro essere è la parte più interessante, anche se io stesso non lo conosca ancora, è la grande ricerca. Le idee, che sono l’essenza, diventano concrete quando sono scritte in una pagina. L’uomo è fatto per lasciare segni, si applica da migliaia di anni, dai primitivi fino al bambino che gattona e segna con un gessetto il muro. Il nostro cervello è sufficientemente grande e potente per scrivere e anche per il processo della lettura, che è il più difficile che debba affrontare.


Ogni cervello deve fare questo processo di apprendimento entro i primi tre anni di vita (non leggere, ma ascoltare letture e fare segni) in modo da aprire quei canali cerebrali che, altrimenti, rimarrebbero interrotti. È la parte musicale del cervello: dalla lallazione alle filastrocche.

Se si nasce in una famiglia con una base linguistica debole, in una in cui non si sono mai lette filastrocche o storie, quella parte di cervello ha bisogno di aiuto per attivarsi. È molto difficile rimpiazzare quello che non si è ricevuto al momento giusto, ecco perché gli insegnanti dei bambini, fino ai cinque anni di età, sono i più importanti. Nella fase dell’adolescenza, in cui il ragazzo comincia ad autodeterminarsi, questa mancanza si evidenzia in modo lampante ed è una questione molto seria. Non trascurabile.


Per aiutare un bambino a diventare ricco interiormente, un lettore, bisogna iniziare e poi continuare a nutrire il suo cervello con letture che lo aiutino. È un bisogno importante della persona. A questo proposito, per farvi capire a cosa mi riferisco, vi racconto della mia esperienza di insegnante in una scuola professionale. Quei ragazzi saranno degli operai, questo è quello che ci si aspetta da loro. Quando andai in quella classe, mi resi conto che erano giudicati dagli altri come persone meno importanti, anche rifiutati, e di conseguenza erano studenti che si comportavano in modo rude. Erano loro stessi a considerarsi esseri di seconda scelta. Mi sono detto che dovevo ricominciare da zero, dalla fase dei tre anni.

Una mattina mi presentai con Il Gigante Egoista di Oscar Wilde, onestamente fu il primo libro che presi in mano uscendo da casa. Iniziai a leggere con calma e dopo poco si calmarono tutti. Era una cosa nuova, nessuno l’aveva mai fatto prima per loro. Qualcuno si commosse addirittura e capii che se piangevano era anche perché avevano ricevuto quello che non gli era stato mai dedicato.

Da lì cominciai a mostrargli albi illustrati, sempre più sofisticati, presentandoli come letture che avrebbero potuto fare ai loro futuri figli, che magari sarebbero arrivati pure troppo presto. Li esposi affinché li vedessero tutti. Il libro che suscitò in loro più emozione e anche disagio fu quello di Maurice Sendak, Nel Paese dei Mostri Selvaggi. Questo albo rilascia energia. Mai leggerlo ai bambini prima di andare a letto!


È facile trovare libri di conforto, di intrattenimento. La parte difficile arriva con quel colpo di accetta che deve spezzare il ghiaccio e per questo bisogna fare scelte oculate. Non si può andare troppo in profondità per non abbattere i ragazzi. Non dobbiamo distruggerli e se il colpo è troppo forte, questo potrebbe accadere. Bisogna conoscere bene la letteratura per sapere cosa proporre. Devono farlo soprattutto quegli insegnanti che accompagnano i ragazzi fino ai dodici anni di età.


Il primo punto che devono considerare gli insegnanti è di LEGGERE, parlare di libri e confrontarsi tra educatori. Devono farlo tra loro prima di proporre letture ai bambini. Una buona formazione è indispensabile, un training per insegnanti serve affinché possano offrire ai bambini quello di cui hanno bisogno, quello che da soli non avrebbero mai deciso di scegliere. Questo è il compito di un insegnante: portare il bambino dove non è mai stato.


Nel saggio Il lettore infinito, Educare alla lettura tra ragioni ed emozioni c’è la MAPPA DEL PROCESSO DI LETTURA. Molto semplice con punti chiari quali la selezioni di libri dopo averli letti, metterli a disposizione per poterli prendere, leggerli…


La buona lettura è possibile, però, in funzione del tempo. In quale luogo possono farlo i bambini se a casa tra televisione accesa, musica, rumori domestici, e altre distrazioni la lettura è davvero vista come un atto essenziale da non essere interrotto? Anche con richieste da parte dei familiari: “Bob mi vai a prendere la scopa”? Solo in due luoghi ci sono le condizioni ottimali: la biblioteca e la scuola. L’insegnante è il perno di questo fatto.


È essenziale dare il tempo di leggere, in condizione ottimale. Senza dimenticare che il bambino deve sentire leggere, perché l’apprendimento umano avviene per imitazione. L’insegnante dovrebbe leggere ogni giorno e poi fornire l’opportunità di farlo da soli. Leggere insieme, a scuola, è più facile che farlo da soli a casa. È probabile che qualche alunno un giorno si annoi, ma la volta dopo magari lo gradirà di più, e giorno dopo giorno, diventerà un lettore migliore, cambiando atteggiamento.


La preparazione letteraria mi permette di dire quanto sia bravo Dostoevskij, anche se onestamente non mi piace. La mia preparazione è tale che mi permette di poterlo fare. Ma come ci si forma a scuola? Io ebbi un insegnante che leggeva e poi chiedeva il parere degli alunni, analizzava i testi fornendo gli strumenti per farlo da soli, per esempio i suoni: «Ha un suono bello» diceva qualcuno, e lui rispondeva «verissimo, ha molte F, si chiama allitterazione» e così imparavamo termini sempre più tecnici senza fatica e ci insegnava a vedere quello che diceva davvero il testo. Era quasi un gioco. Poi si provava a estrarre il significato di un testo.


Per esprimere tutte le qualità che un testo contiene, esistono le “domande speciali”, (e le troverete nella MAPPA di cui parlavo). Vi riporto l’esempio dell’analisi dell’albo di Sendak, per utilizzare lo stesso albo già citato, con un gruppo di bambini.

Chiedo: «Quanto ci ha messo questa storia a succedere secondo voi?».

Il primo risponde «tre minuti, il tempo che ci vuole per leggerla».

Il secondo dice «due ore di sera», «come fai a saperlo?» chiedo. «Solo una mamma cattiva ti manda a letto senza cena e ti lascerebbe solo tutta una notte», risponde. «La zuppa sul tavolo fuma ancora».

Un bambino notò come cambia la forma della luna, quindi si parlò di fase lunare. Durò un “mese lunare”? Forse significava che Max era “lunatico”, il protagonista era “matto di rabbia”, oppure accadeva spesso, in giorni diversi, ecco perché ci sono lune diverse «e ci vuole molto per smettere di essere arrabbiati».

Ecco un esempio di significati nuovi e nuove parole. Ecco il nutrimento!


Dopo queste parole Aidan Chambers rimanda al libro, che non mancherò di leggere con interesse, l’ho appena iniziato ma ho trascritto questi appunti prima di lasciarmi influenzare dalla lettura, per mantenere quel senso di immediatezza che regala la parola non scritta, l’esposizione diretta di questo grande Maestro. Grazie.

Hamelin, la sottile linea oscura

 

Tuo figlio è adolescente, si è trasformato in un marziano? Sii sereno, è colpa della Dopamina, parola di David Bainbridge.

Avevo un figlio, tranquillo, un po’ riservato, che un mattino è apparso improvvisamente verde con le orecchie a punta. Un marziano! No, un adolescente.

Prima parlava, anche se poco, ora grugnisce e usa termini curiosi, non esiste più il “sì” ma è un “abbastanza”, e devi accontentarti se riesci a ottenerlo. Prima era disinteressato agli abiti e agli accessori, ora punta a quello che ritiene “figo”. Ma è mio figlio? Certo! Solo che la dopamina, che sale dalla parte profonda del cervello, lo sta ricoprendo e allo stesso tempo si stanno recidendo tantissime connessioni, fili e reti fitte di contatti cerebrali, che aveva costruito nella sua infanzia. Insomma, è in atto una profonda ristrutturazione cerebrale. Vuoi anche che risponda quando gli poni delle domande? Pretendi forse che possa soffermarsi in dettagli inutili, tipo ricordarsi di lavare i denti, prendere quella felpa che prima ti aveva chiesto dove fosse (e che ovviamente era lì, davanti a lui)?

Ieri ho dipanato molte mie perplessità. Mi sono goduta l’intervento di David Bainbridge durante il Convegno internazionale su adolescenza e lettura, “La sottile linea scura”, realizzato da Hamelin. Cosa ha detto di folgorante? Due cose: la questione è riconducibile tutta a un processo naturale e neurofisiologico, inoltre SERVE, perché l’adolescenza ci distingue dagli animali. Se la nostra razza si è evoluta fino a diventare quella dominante tra gli esseri viventi del pianeta, è grazie all’adolescenza. Vi sembra trascurabile un’affermazione tale? Da questo momento iniziamo a riconsiderare le connotazioni negative che potremmo aver affibbiato ai teenagers.

Noi esseri umani, da diversi millenni ormai, siamo sempre passati nella fase fumosa che attraversano tutti gli adolescenti, lo dimostrano i fossili dei nostri antenati (lo rivelano, nel dettaglio, i cerchi nella sezione di un dente, come per gli alberi). Gli animali non hanno picchi di crescita, noi invece sì, come lo studioso ci ha mostrato in un grafico. Le ragazze lo hanno prima e i ragazzi poco dopo, quello delle ragazze è alto ma meno di quello dei ragazzi, per cui la crescita continua più a lungo. Bainbridge, zoologo e docente di Anatomia clinica veterinaria all'Università di Cambridge, è affascinato da questo fenomeno e, per soddisfare il grande interesse che nutre per gli adolescenti, ha condotto molte ricerche a riguardo. Le sue conclusioni appaiono quasi un sollievo. Il grande cambiamento che affronta un adolescente è tale che non può evitare di ripercuotersi nella vita di tutti i giorni, quello che noi (io) notiamo è la distrazione, l’irritabilità, la “marzianità” che ci spiazza. In realtà dobbiamo considerare anche il lato positivo di questo passaggio accidentato: l’acquisizione di nuove competenze. Enormi!

Un bambino, dice Bainbridge, parla allo stesso modo con tutti: con i genitori, con l’amico, con la maestra, col cucciolo di cane. Il teenager non agisce più così, ha appreso la differenza tra ognuno di questi gruppi. Cambia all’occorrenza i registri del suo linguaggio perché ne ha imparato il potere sociale.

Una delle cose più complicate che acquisisce è “pensare a quello che sta pensando”.  Mi spiego: un bambino sbaglia a versare l’acqua nel bicchiere e chiama l’adulto per farsi aiutare. L’adolescente se sbaglia tace e riflette sui suoi errori. Ecco perché, se accade qualcosa, non ricorre più al genitore ma cercherà, al massimo, l’amico. L’amicizia non a caso diventa l’aspetto più importante di questi anni turbolenti. E lo “slang” non è altro che il codice per suggellare amicizie più forti, per non sentirsi comunque troppo soli e poter seguire un branco di simili, tra marziani ci si capisce meglio!

Il teenager quindi modifica linguaggio e abitudini. Inoltre queste si differenziano tra ragazzo e ragazza. Le ragazze parlano molto di loro stesse, del loro corpo, dei sentimenti, spettegolano su altre ragazze e se un’amicizia finisce, soffrono molto. Le vedremo affliggersi. I ragazzi parlano soprattutto degli interessi che li accomunano, come gli sport, i videogiochi e i passatempi, anche di ragazze, ma non così tanto. Sembrerebbe che entrino meno in profondità, come se l’amicizia maschile fosse proprio più superficiale, quindi se questa finisce pensiamo che non crei un grande stress, del resto l’altro non sapeva così tanto dell’amico. SBAGLIATO! Bainbridge ci suggerisce che entrambi ragazza e ragazzo hanno la stessa sensibilità, ma è il registro e il linguaggio che li differenzia. La comunicazione cambia, ma non sono poi così diversi. E qual è la comunicazione più complessa di tutte, e che si apprende in questo periodo della vita? Il flirtare, il corteggiamento. È il più complesso di tutti: il ragazzo, o la ragazza, parlano ma non sanno cosa pensa l’altro, si pongono molti problemi, “mi capirà?”, pensano, ma anche “voglio davvero essere capito?”, e così via di punti interrogativi. Indubbiamente è un passaggio fumoso: capire chi si ha di fronte, farsi capire o non farsi scoprire sono problemi che assorbono energie. Quante volte diciamo o sentiamo dire “gli adolescenti hanno la testa per aria”, in realtà stanno elucubrando (chissà cosa, non è dato sapere, ma hanno parecchio da elucubrare!).

Per la serenità di ogni genitore aggiungo che è solo ora che il cervello è maturo per poter cominciare a pensare alla sessualità, non va dimenticato… e qui vi lascio, tra pensieri e ricordi di come eravamo noi in quegli anni.

Concludo con l’affermazione di Bainbridge: “Sappiate che l’adolescente si allontana dal genitore e deve farlo perché più lo farà e più sarà felice da adulto”. Amen. E con questo vado a cucinare un pasto marziano per l’alieno che fra poco tornerà da scuola e non dirà nulla di quello che è accaduto durante le ore di lezione spaziali e tantomeno dei momenti con i compagni UFO. Accoglierò con gioia il suo grugnito.

Se siete curiosi di saperne di più, vi segnalo il saggio su cui troverete questi e altri misteri svelati sul mondo degli adolescenti, i nostri amati figli mutanti che ci pare di non riconoscere più.

Informazioni tecniche

Titolo: Adolescenti, una storia naturale

Autore: David Bainbridge

Editore: Giulio Einaudi Editore

Codice: EAN 9788806200961

Pagine: 324

Prezzo indicativo: € 16,50, brossura, copertina flessibile


 

Il piacere di ascoltare Celia Rees e scoprire di avere dei gusti molto vicini.

Celia Rees ha scritto molti libri, di cui solo alcuni tradotti in Italia. Ma non ho voglia di parlarvi dei romanzi perché se li conoscete già siamo a cavallo, altrimenti vi farò venire voglia di correre in libreria. Voglio parlare di lei, l’autrice.

In Italia si potrebbe correre il rischio di scambiarla per una scrittrice di romanzi storici, ma sono solo una parte della sua produzione letteraria. Partiamo dalle origini: le piaceva scrivere da piccola? Per carità! Non era brava nello spelling ed era mancina, questo pregiudicava ogni soddisfazione scolastica in merito e anzi, era discriminante. Intanto, come me da piccola, poteva passare ore e ore a inventare storie di fantasia, giochi in cui impersonava qualsiasi tipo di personaggio e così nascevano delle storie bellissime. Questo fatto fa ben sperare. Inoltre aveva una mamma bravissima a raccontare storie paurose su quello che i bambini non devono fare: ogni regola infranta poteva far morire: i gemelli che hanno mangiato le bacche del vicino? Stone dead! Stecchiti! I funghi del bosco? Stessa sorte e così via.

Un altro fattore determinante è stato l’imprinting fornito dai libri proibiti che nascondeva il fratello: la madre era contraria ma lei è riuscita a leggere molte storie dell’orrore, come me, e questo l’ha influenzata come autrice. Scary stories: pattern of writing! Il suo scary, pauroso, non è finalizzato a spaventare, ma a far riflettere il lettore. E le sue storie anche per questo ingrediente sono tutte davvero avvincenti.

Chi è uno scrittore?

Celia Rees sostiene che chi è bravo a raccontare storie a tal punto da far esclamare “davvero?” (“really?”) allora ha ottime probabilità di saper scrivere bene.

Ha scritto crime-fiction, horror, storie soprannaturali e romanzi storici, storie di adolescenti di ogni generazione, anche attualissime ma ogni volta ha fatto un durissimo lavoro di revisione, un editing continuo. Chi non lo fa non è un buono scrittore, per lei, poiché è un lato indispensabile di questa professione. L’unica pagina che non ha mai corretto, nemmeno una virgola, è quella del suo primo libro, scritta quando, molto arrabbiata per aver perso l’incarico di preside nella scuola in cui lavorava, decise di licenziarsi e di iniziare a scrivere, come lavoro. Potremmo affermare che tutto è nato da un moto di rabbia. Era il 1989 e il primo libro è stato pubblicato nel 1993. Fu un azzardo, dice ora, ma ne è valsa la pena!

Durante questo incontro ho raccolto tra i miei appunti tutti gli aneddoti che ha raccontato sulle strategie di scrittura: il cambio del punto di vista tra due semplici personaggi che può creare una storia validissima, è un ottimo esercizio. Ne ha narrati alcuni. È fondamentale che si vesta i panni dei protagonisti perché altrimenti un autore non può davvero sapere come agirà e cosa dirà il suo personaggio. È il noto rischio di perdere credibilità davanti al lettore. Quindi catarsi indispensabile e autentica. Ha detto: “capisci di essere uno scrittore quando scopri che ti piace giocare con il lettore” quindi quando hai una totale padronanza della materia.

Mentre Celia Rees parlava, la vedevo idealmente spostare le pedine tra i fili delle sue trame, come un abilissimo burattinaio. Mi ha affascinato ascoltare l’autrice mentre raccontava del brivido che l’ha percorsa quando riuscì a focalizzare tutto il romanzo La casa dei desideri (The wish house) appena andò a casa di un’amica artista. Era un romanzo per cui subiva pressioni dall’editore, stava già scrivendo Pirates, che nel frattempo adorava scrivere, mentre questo titolo, La casa dei desideri, esisteva ma non portava a nulla di buono, fino all’epifania nella casa. Ho provato un brivido anch’io. Romantico e misterioso.

È stato il mistero a spingerla verso un romanzo storico, Il viaggio della strega bambina. Anche in questo caso però la professionalità ha imposto i suoi ritmi: otto, nove mesi di studi, approfondimenti, letture di lettere, documenti. In quel tempo le persone vivevano in modo differente quindi è necessario sapere il più possibile. Che cibo mangiavano? Come si esprimevano? Come si vestivano? Affascinante. Nel romanzo viviamo davvero con Mary, la protagonista, e l’empatia magicamente avviene, anche se siamo proiettati lontani di qualche centinaio di anni.

Le donne “storiche” raccontate dall’autrice sono tutte figure anticonvenzionali: presunte streghe, corsare, briganti, tutte donne che hanno coraggio da vendere e che devono affrontare discriminazioni. Nella storia che gli alunni studiano a scuola le donne, anche quelle che hanno contribuito a cambiare il corso degli eventi, sono continuamente ignorate. Ecco perché vuole fortemente parlare di loro. Per questo fa pubbliche scuse ma non cambierà idea. Non posso che concordare, infatti mi è uscito un “I agree!”.

This is not forgiveness, l’ultimo romanzo, non è ancora stato tradotto. Non è di genere storico ma molto attuale, i temi sono forti e la trama è coinvolgente, il target si alza, l’autrice l’ha definito un “top end of young adult” per la presenza di violenza, sesso, terrorismo. Qui invece la ragazza protagonista è diversa, vuole diventare una terrorista politica. Non che gli adolescenti si stupiscano di questi temi, non sono sconosciuti, ma è il modo in cui si narra che fa la differenza di qualsiasi argomento si tratti. In questo caso l’autrice si è voluta concedere più libertà. Ora sta scrivendo un libro per adulti sulla seconda guerra mondiale, il lavoro di documentazione è stato particolarmente doloroso, e la conclusione è che la differenza di target la definisce lo stile che si sceglie di usare.

Infine le ho chiesto un ultimo dettaglio per cui friggevo di curiosità: come pianifica la trama? La volevo immaginare al lavoro proprio all’inizio di un’idea. Ed ecco che spunta un immaginario foglio A3 da dove partono mille idee che cambieranno, spariranno, si definiranno durante il lavoro, perché la trama deve rimanere sempre aperta, fino alla fine. Fino a compiere il duro lavoro di revisione, fino alla parola fine.

Il lavoro di perfezionamento a volte è scambiato per insicurezza, invece posso assicurarvi di aver parlato con una donna molto sicura, professionale, simpatica, solare e che è consapevole di  saper fare bene il suo lavoro. Lo sappiamo anche noi.