Le fiabe arrivano da lontano, hanno scarpe consumate, viaggiano da secoli. Sono innumerevoli come Le Mille e una notte. Per quanto appaiano vaghi i riferimenti spaziotemporali, si intravedono epoche, paesi e costumi, come nelle storie raccontate da Shahrazad, la figlia maggiore del gran visir. Dai suoi racconti emergono ambientazioni indo-iraniche, persiane, arabo-musulmane, con influssi giudaici e greco-ellenistici, alcune storie conducono fino in Cina e altre sugli Urali.
Le fiabe migrano, e si portano dietro il folclore e le tradizioni dei popoli, poi si mescolano con il luogo che le accoglie. Sono ponti: allacciano nuove relazioni, connettono culture, sono punti d’incontro, proprio perché universali, e si adattano. I personaggi delle fiabe rappresentano le caratteristiche umane, narrano le paure e i desideri più comuni.
Nelle vicende che accadono in una storia, per quanto sorprendente, si individuano le connotazioni tipiche di un paese, la vita quotidiana dei personaggi e da qui si possono trovare ciò che accomuna e ciò che resta distante, differente, dalla propria cultura.
L’indeterminatezza temporale e geografica della fiaba è relativa, come spiega Catia Brunelli, in un suo intervento durante il “V incontro nazionale dei centri interculturali”, tenutosi a Fano nell’ottobre 2002: la fiaba contiene descrizioni ambientali, paesaggistiche, riporta indicazioni sulla fauna e sulla flora, ha elementi culturali tipici di un popolo, insomma, fornisce sempre informazioni sul territorio e sulle relazioni esistenti tra chi lo abita.
La fiaba attesta anche il dinamismo che la contraddistingue, è una materia narrativa che, anche nel suo essere racconto orale, ha una capacità culturale trasversale, rappresenta le tre “i”: incontro, interazione, integrazione, che sono le tre fasi di sviluppo nei confronti delle diversità.
Il qui e l’altrove si incontrano, ed è proprio questo ponte che favorisce l’educazione interculturale nelle scuole, nei centri di accoglienza e nei progetti mirati all’inclusione.
Le fiabe svolgono una funzione utile ai fini dell’aggregazione. Conoscersi e accettarsi tra gruppi di persone di diverse culture può rivelarsi più facile con l’aiuto delle fiabe, proprio per questa loro antica e mutevole natura, tanto che alcune contengono chiavi speciali, come i “personaggi ponte”.
Tra i più noti c’è Giufà, che abbraccia un territorio molto vasto e oltrepassa i confini del bacino del Mediterraneo. A volte cambia un po’ il nome, a volte è figlio, in altre storie è marito, ma è sempre riconoscibile. Lo ritroviamo anche nelle Fiabe Italiane di Italo Calvino (1956), e prima ancora compare nella raccolta di fiabe siciliane di Giuseppe Pitrè.
Probabilmente è approdato in Sicilia con i mercanti arabi, ma non si è certo fermato, le sue avventure (o sventure) hanno raggiunto altri paesi europei, fino alle regioni balcaniche e addirittura ci sono suoi cenni in India, come hanno rilevato gli studi di Francesca Corrao. Giufà è senza dubbio un affascinante “punto di molti incontri”, un modello archetipico che si ritrova in più angoli del mondo e le sue storie tendono a esorcizzare le angherie subite. Nella tradizione araba le storie su Giufà sono divertenti, le situazioni sono spesso comiche, a volte il protagonista risulta molto sciocco, altre malizioso e furbo, in ogni caso la sorte gli riserva sempre un lieto fine, per quanto combini disastri, eccone un esempio:
“Una volta la madre di Giufà gli disse che sarebbe uscita quindi sarebbe toccato a lui, ancora in casa, di tirarsi dietro la porta. Giufà prese alla lettera le parole della madre e cominciò a tirare la porta così forte che la scardinò, quindi si incamminò caricandosela in spalla.”
Il video Giufà e la porta fa parte della collana di fiabe della tradizione popolare "Signori bambini si conta e si racconta" narrate dall`attrice Mara Baronti, sullo sfondo delle scenografie di Emanuele Luzzati. Video tratto da Rai Scuola
Nel libro Giufà di Chiara Carrer, insieme ad altre storie, c’è anche questa, e accanto a ognuna c’è la versione nella lingua del paese da cui giungono: è un modo efficace per mostrare le contaminazioni, illustrate anche nella cartina geografica dei risguardi. Giufà è quindi uno dei personaggi tra i più utilizzati nei vari progetti di intercultura che coinvolgono gruppi di bambini, adulti stranieri, carcerati e ogni tipo di comunità in cui si ricerchi un punto d’incontro.
Le fiabe non conoscono confini, come Giufà hanno viaggiato tra migrazioni e scambi, le scarpe che indossano sono consumate e portano i colori dei popoli che incontrano, cambiano nome e forma.
Proprio come la scarpetta di cristallo di Cenerentola, che nel piede di una ragazza, sempre un po’ sfortunata, rinnova più volte foggia: è la babbuccia di Mara dei Balcani, il sandalo di Tam in Cina e in Vietnam, lo zoccolo d’oro benedetto da Allah, la scarpa di sughero sardo, e la trasformazione giunge l’iperbole delle gigantesche scarpe da ginnastica di cristallo che indossa Cinderella Bigfoot. Sono tutte scarpe indossate da ragazze in cerca di rivalsa e riscatto, raccontano storie di ingiustizie e di desideri condivisi.
Sono punti in comune nelle diversità, come ribadito da Vinicio Ongini, uno degli studiosi più impegnati nell’uso della fiaba come mezzo di integrazione e intercultura, che ha coordinato il programma nazionale per le scuole “In viaggio con le Fiabe italiane di Italo Calvino” e ha lavorato all’ufficio integrazione alunni stranieri del Ministero dell’Istruzione. Nei suoi studi e nei saggi Ongini dimostra come le fiabe non conoscano frontiere e quanto abbiano camminato nel mondo. Quelle sopra citate le ha raccolte nel suo libro Le altre Cenerentole. Il giro del mondo in 80 scarpe.
Le fiabe creano connessioni tra culture, ma anche con il sé bambino nell’adulto, agiscono sulla memoria e sulle aspettative, creano empatia, possono curare traumi, e come per le Cenerentole, dimostrano che le situazioni possono cambiare. Questo messaggio è molto forte, potente.
A Bologna esiste un progetto che connette fiaba e carcere, i carcerati tra di loro e il carcere con le scuole del territorio. Si chiama “Ponti di fiabe” ed è promosso da AVOC, Associazione Volontari del Carcere, in collaborazione con CPIA, Centro Per l’Istruzione degli Adulti.
In un’intervista a Maria Caterina Bombarda, progettatrice del CPIA, emerge come, durante gli incontri in carcere con gli adulti stranieri, il lavoro parta proprio dalla fiaba, per favorire un clima di condivisione, che si arricchisce di memorie personali e familiari. Affiorano radici diverse ma la narrazione e la condivisione conducono a un orizzonte comune.
Spesso i detenuti raccontano fiabe tradizionali, storie del cenacolo domestico, con un dna culturale che permette di dialogare. Non sempre è facile capire cosa ci sia rimasto della fiaba, bisogna innanzitutto avere fiducia e trarre socraticamente dai vari racconti cosa ci sia di genuino. La prima fase è di raccolta, ma non è così scontata poiché c’è chi non ha fiabe da raccontare.
Bombarda riporta l’episodio di un carcerato analfabeta proveniente dal nord Africa, che, trovatosi in impasse, iniziò a cantare. Il testo era la storia di un detenuto, rimasto orfano, i cui autori erano altri detenuti di un carcere in patria. A questo canto si unirono anche gli altri ragazzi presenti all’incontro; chi non conosceva le parole tamburellava a tempo, a dimostrare che la condivisione di storie aiuta la fase successiva, quella di riflessione.
Tra i racconti dei detenuti che fanno parte del progetto compaiono vari personaggi umani ma anche molti animali, come il corvo. A seconda dell’ecotipo a cui appartiene la storia, il ruolo degli animali varia: non sempre è la volpe ad esser furba, e tra i ragazzi del carcere della Dozza di Bologna compare spesso il corvo, che rappresenta il valore del dono. Le fiabe sul valore del dono riguardano la storia personale di chi, per aver dato troppo (fiducia e disponibilità) a persone sbagliate, è finito invischiato con la microcriminalità.
La manipolazione è il cardine che accomuna le storie di molti detenuti. Il compito di chi conduce gli incontri è quello di tornare all’evocazione della vita precedente al carcere, al bivio che ha condotto nella strada sbagliata. Alcuni sono giovani padri, e le stesse fiabe le raccontano ai figli, la proiezione deve andare verso un futuro migliore. Recuperare le fiabe è un riconnettersi al sé bambino, alla dimensione più genuina, per riconsiderare il cambiamento come possibile.
Cenerentola ha potuto cambiare il suo percorso e anche questi giovani adulti possono migliorare lo stato attuale delle cose e dare una svolta positiva al proprio cammino.
Il ponte collega anche la scuola al carcere. Avremmo dovuto fare degli incontri, insieme a Maria Caterina Bombarda, sia a scuola che in carcere, ma per l’emergenza Covid-19 le date sono saltate. In ogni caso ai ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado arriveranno delle raccolte di fiabe dei carcerati, nella speranza di ricostruire questo ponte durante il prossimo anno accademico, creando uno scambio rilevante.