TUTTO VERO

 

scritto nel 2018 durante le lezioni di Luisa Mattia presso Bottega Finzioni di Bologna.

 

Una storia di Alieni, di amicizia e con amore verso il nostro pianeta.

 

Sinossi

 

 

Lori, Liza e Diego sono tre ragazzi di tredici anni che, durante le scuole elementari, erano molto uniti ma alcuni eventi, li hanno fatti dividere. Resta però un legame che continua ad unirli a distanza: il fenomeno delle scie luminose nel cielo.

 

Liza infatti, anni prima, aveva deciso di rivelare ai suoi amici che degli alieni erano arrivati con delle scie di luce, ma Diego non le credette e fu anche la causa della rottura della loro amicizia. Lori invece, da quel momento, cominciò a osservare il cielo con occhi nuovi, nella speranza di intercettare almeno una scia.

 

Finalmente quella notte arriva.

 

Ovunque vengono avvistate delle scie luminose nel cielo e ne parlano anche i telegiornali.

 

Lori, Liza e Diego hanno intercettato la stessa scia, si è diretta sulla sommità della collina del bosco, e ognuno di loro scappa da casa per dirigersi proprio lì…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TUTTO VERO

 

Di Francesca Mariucci

 

 

 

Capitolo uno.

 

Lori non vedeva l’ora.

 

“Buonasera, apriamo il notiziario con lo strano fenomeno delle scie luminose avvistate nel cielo. Non sono ancora note le cause di questo fenomeno. Qualche episodio simile era già stato registrato in passato, ma diamo subito la parola agli esperti in questo servizio…”

 

Lori aveva sgranato gli occhi e affilato l’ascolto, ma suo padre cambiò canale, stava per iniziare la partita. Senza dire una parola, corse in camera. Preparò lo zaino, vi aggiunse la torcia, mentre i suoi occhi già brillavano.

 

Per controllare meglio l’emozione, si sedette sul letto, con un fumetto in mano, e restò pazientemente in attesa della buonanotte dei genitori, quel frettoloso rituale che sanciva la fine del giorno.

 

Finalmente arrivò il buio e poi il silenzio.

 

Lori raggiunse la porta cercando di non far alcun rumore, toccò la maniglia ma ebbe un sussulto. Per un attimo temette di non riuscire a farlo davvero. Buttò fuori tutta l’aria che stava trattenendo e si sentì subito meglio. Strinse i denti e afferrò con forza la maniglia.

 

Roro, il gatto di casa, si era piazzato proprio in mezzo, tra lui e la soglia. Miagolava e si strusciava.

 

«Ciao Roro, devo proprio andare, non svegliare nessuno con i tuoi salti da acrobata» lo accarezzò e aggiunse «Roro mi raccomando, non devono scoprirmi».

 

Con un malloppo di senso di colpa e paura, Lori aprì piano la porta e si lasciò inghiottire dal buio.

 

Aveva percorso tutta la via di casa, aveva svoltato verso “Sua Mostruosità”, la vecchia scuola, e lì si fermò a osservarla. Era diversa, spenta e vuota, silenziosa. C’erano due lampioni che illuminavano le due finestre, lasciando completamente buia la porta in mezzo: era come un buco.

 

Fu solo per un attimo, ma gli sembrò lo sguardo severo di una enorme faccia, terrificante, uguale a quella di suo padre quando si arrabbia. Lori cominciò a correre, sapeva benissimo che si stava cacciando in un grosso guaio, non serviva che una intera vecchia scuola glielo ricordasse.

 

Giunse al limitare del parco grande, quello che non ha confine perché poi continua nel bosco. Lori corse fino al limite d’erba tagliata, sorrise: si rese conto che non era mai arrivato fin lì, figuriamoci di notte. Si sentì frizzare in ogni parte del corpo.

 

Da quel punto, era troppo lontano dai lampioni e serviva la torcia. La accese, soddisfatto, e s’introdusse nel fitto bosco.

 

C’era molto silenzio. Il rumore dei ciottoli diventava un fragore. Lori non provava alcun timore, anche perché più camminava e meglio vedeva il sentiero. La luna si era liberata dalle nuvole, era diventata una palla enorme di luce chiara, Lori spense la torcia.

 

«Eccone un’altra!», sussultò. In lontananza il cielo era stato rigato da una scia luminosa che finiva chissà dove, dietro le chiome degli alberi. «Non è una semplice stella cadente, e poi… il mio desiderio lo sto già realizzando». Con un largo sorriso, riprese a camminare.

 

Era giunto in uno spiazzo con meno alberi, sentiva il rumore gorgogliante dell’acqua. Non aveva freddo e nemmeno sonno. Però era stanco.

 

Fu quando si accovacciò per riprendere fiato che intravide un animale, qualcosa di piccolo, si sentì fremere, decise di seguirlo.

 

Lo tallonava a breve distanza ma improvvisamente nel silenzio accadde qualcosa. Avvertì uno strano tonfo, fin dentro la pancia. Si guardò intorno confuso. Con qualche brivido, un po’ dappertutto, si avvicinò a un cespuglio, a sbirciare. Si sentiva l’acqua del ruscello poi ripresero i tonfi. Erano diventati ritmati. Lori voleva vedere, quindi provò a sporgersi di più.

 

Ebbe solo il tempo di udire un tuffo e quel suono s’interruppe di colpo. L’acqua invece continuò a gorgogliare allegramente.

 

Tutto quel che vide, fu il punto in cui qualcosa o qualcuno aveva fatto increspare l’acqua.

 

 

***

 

Liza, non ha paura.

 

“…Possiamo sicuramente aggiungere, cari telespettatori, che non c’è nessun allarmismo. Questi sono eventi cosmici, eccezionali, ma possiamo basarci sugli studi che negli anni…”

 

Liza non seguì più il cronista e si rivolse subito alla nonna, che stava confezionando con cura l’ennesimo barattolo della sua marmellata speciale, il tavolo era una distesa di barattoli infiocchettati.

 

«Pensi che siano tornati?»

 

Le tremavano le mani ma la voce era così squillante che la nonna si allontanò di scatto, salvò giusto in tempo il barattolo di marmellata più vicino al bordo.

 

«Liza! Quasi faccio un disastro… Hai visto dove sono atterrate le luci?»

 

«Sì, una, è andata a finire sulla collina del bosco, sono salita sul tetto della mansarda per seguirla, quindi ne sono certa.»

 

«Sul tetto? Sei una incosciente!»

 

«Era troppo importante nonna, lo sai! Che cosa facciamo?»

 

«Non lo so, è passato troppo tempo…»

 

La nonna si spostava continuamente sulla sedia, sembrava stesse seduta sugli spilli, «non cammino più bene…» aggiunse. Cominciò a spostare i barattoli in file allineate. Aveva lo sguardo fisso e serio.

 

Liza invece non stava più pensando a cosa fare, ma a come farlo. La fissò per un lungo momento, a un tratto le bloccò quelle mani frenetiche, e lasciò uscire i pensieri che le scalpitavano dentro.

 

«Io vado!» 

 

Si alzò di scatto, battendo le mani sul tavolo. Fece cozzare di proposito tutti quei barattoli. La nonna sobbalzò ma non cambiò la sua espressione scura.

 

«Liza, non puoi andare nel bosco di notte.»

 

«Perché non posso? So badare a me stessa, non sono più piccola e poi… non ho paura!»

 

«Paura? Sono io quella che ha paura.»

 

Liza le si parò davanti, naso a naso.

 

«Non impedirmelo, tanto ci andrò lo stesso.»

 

«Liza, se succedesse qualcosa,» sussurrò, «cosa direbbero i tuoi genitori se…»

 

«Nulla!» strillò Liza. Gli occhi cominciarono subito a inondarsi. «Non preoccuparti di loro, hanno le loro famiglie!»

 

Senza aspettare le lacrime, corse a preparare una sacca con l’occorrente. Scaricò lì dentro qualche oggetto e un po’ di rabbia. Era pronta per la missione che aspettava da tanto.

 

Tornò in cucina, la nonna nel frattempo aveva abbandonato il suo lavoro e si era sgonfiata nella poltrona, pareva un goffo “involucro di nonna”.

 

Non si dissero nulla, ma prima di uscire Liza indugiò un momento, infine si girò per una specie di saluto.

 

«Ho bisogno di sapere Liza», disse di scatto la nonna, «voglio sapere cosa ti accade, prendi il cellulare!»

 

«Ce l’ho già! Non ti preoccupare nonna».

 

Avrebbe voluto aggiungere frasi come “ti voglio bene”, ma non era proprio il tipo. Tirò su con il naso, asciugò gli occhi per vederci meglio, e uscì con passo veloce.

 

 

 

 

 

 

***

 

Diego trova coraggio.

 

“Qualche episodio simile era già stato registrato in passato, ma diamo subito la parola agli esperti in questo servizio…”

 

Diego ascoltò il notiziario fino a un certo punto, a tavola non era consentito tenere il televisore acceso. Stava mangiando in cucina con i suoi fratelli, Luka e Clara, mentre in sala da pranzo fremevano i preparativi per le grandi occasioni. Suo padre, un illustre personaggio politico, avrebbe ricevuto a casa delle autorità. Diego sapeva che non avrebbe potuto disturbare nessuno. Invidiava suo fratello maggiore, Luka, che sarebbe uscito perché aveva sia il permesso di farlo che l’auto, mentre Diego e Clara sarebbero dovuti restare di sopra, e senza far baccano.

 

Mentre salivano le scale, Diego stava rimuginando sulla notizia straordinaria del telegiornale e Clara gli si parò davanti.

 

«Allora, pensi siano gli alieni?» lo scrutò in viso, con aria di sfida.

 

«Scansati, beota!» e la spinse.

 

«Scemo!»

 

«Ehi lassù, silenzio!» una voce minacciosa dal piano di sotto li mise subito a tacere. Clara però aveva ancora qualcosa da aggiungere.

 

«Magari sono dei mostri, finalmente ti porteranno via!» sibilò mentre lo stava infilzando con lo sguardo, poi scomparve dietro alla porta della sua camera.

 

Diego rimase per un attimo fermo sul corridoio, indeciso se picchiarla subito, ma decise di chiudersi in camera. Accese il televisore. Le immagini con le scie luminose erano ancora in onda. Rimase ad osservarle. Erano così strane. «Impossibili», disse a voce alta.

 

Si stese sul letto e, con gli occhi incollati allo schermo, tornò al ricordo del giorno in cui smise di essere amico di Liza. Fu uno dei giorni più brutti che potesse ricordare.

 

Prima di quel giorno nefasto, Diego, Lori e Liza erano amici. I migliori amici della vecchia scuola primaria “Sua Mostruosità”, come la chiamavano loro.

 

Liza però, era cambiata già da un po’. Si divertiva a provocare e a cacciarsi nei guai. I suoi genitori avevano nuovi compagni e lei era andata a vivere con la nonna, una donna bizzarra, fissata con il giardinaggio, infatti aveva un frutteto pazzesco e le sue marmellate erano famose. Alla nascita del primo fratello, le si ruppe qualcosa dentro e non fu più la stessa, si atteggiava da adulta, faceva la dura, era sempre arrabbiata.

 

Quella mattina superò ogni limite. Cominciò a parlare di “segreti pericolosi” e di “roba Top-secret”.  Diego si sentì importante, sapeva che la riservatezza è fondamentale davanti a un segreto, infatti suo padre si sigillava dentro lo studio quando doveva parlare con qualcuno, anche solo avvicinarsi alla porta significava andare incontro a guai e punizioni. Liza portò gli amici nell’angolo in fondo al cortile, il loro posto preferito, e cominciò a raccontare una storia segreta: riferì di trasporti intergalattici, di come sua nonna da piccola vide muoversi qualcosa dentro a una scia luminosa, di come provò a scrutare meglio ma, qualsiasi cosa fosse, appena atterrata sparì nell’erba alta. Era un segreto grosso perché sua nonna venne presa per matta. Infatti, decise di tenersi tutto per sé. Aveva fatto questa confidenza a Liza quando scorsero insieme una stella cadente, ma la fece giurare di non dirlo a nessuno. Diego ricorda bene tutto quel sacco di stupidaggini, di come ebbe la certezza che lo stesse prendendo in giro. Liza cercava di nuovo la lite. L’avvertì di non raccontargli altre balle, ma lei non la smetteva. Iniziarono a urlarsi contro e presto passarono alla rissa. Lori cercava di farli smettere, ma non ne fu capace. Diego finì con un occhio nero. Sua madre ne montò un caso enorme e gli cambiò istituto, «frequenterà una scuola senza teppisti» sentenziò.

 

Fu la fine di tutto, dell’amicizia e dei momenti felici. Da quel giorno Diego iniziò una vita di fastidiosa solitudine, anche se intorno aveva sempre tanta gente. Aveva avuto nuovi compagni, ma nessun nuovo amico aveva saputo rimpiazzare la complicità del vecchio trio. «Tutto per colpa di quelle stupide scie luminose che non esistono», si ripeteva, e ne era convinto. Una volta usò quella storia assurda per terrorizzare sua sorella, ma non ci riuscì. 

 

Diego tornò al presente, strinse i pugni e andò verso la camera di Clara.

 

«Adesso te ne pentirai!», ma quando fece per aprire la porta restò bloccato. Era chiusa a chiave.

 

«Diego!» gracchiò qualcuno dal piano di sotto.

 

Il campanello di casa suonò, stavano arrivando i primi ospiti. Diego si rassegnò. Stava già tornando indietro quando udì la risatina soddisfatta di sua sorella e, contemporaneamente, vide dal vetro della finestra una scia brillante nel cielo. Gli stava sfrecciando proprio davanti al naso.

 

Finì sulla vicina collina del bosco.

 

«È troppo!» gli scappò detto.

 

Con passo marziale ripercorse il tragitto verso il piano di sotto. Si udivano provenire dall’atrio le risate e i convenevoli degli ospiti. Allora iniziò a far pianissimo e, come un’ombra, sfilò velocemente verso il retro. Uscì. Da un lato c’erano le auto parcheggiate e le luci delle vetrate di casa, dall’altro il giardino adiacente al bosco. Diego non ci pensò due volte, costeggiò il lato più buio della siepe, verso il cancello. C’erano telecamere e lampioni, ma nessuno lo fermò. Il cancello si stava aprendo per l’ingresso di un’altra auto, l’autista aveva lo sguardo basso, Diego si tirò su il cappuccio della felpa e improvvisò un’andatura disinvolta. Un uomo dal finestrino parlava al cellulare e stava per girarsi da quella parte, Diego affrettò il passo, il cancello era completamente spalancato e ne approfittò per sgattaiolare fuori.

 

Ce l’aveva fatta e per la prima volta nella sua vita, nessuno sapeva dove si trovasse. Una fresca sensazione di libertà lo pervase, anche se non l’avrebbe passata liscia. Si girò un momento verso la casa completamente illuminata e reagì come un fuggitivo che sta per essere braccato. Fece un bel respiro e s’infilò nel bosco.